Prodotti tipici in Val Trebbia Ligure

Una terra ricca di sapori e tradizioni culinarie.

La Val Trebbia offre una vasta gamma di prelibatezze gastronomiche, a partire dai suoi prodotti tipici.
Tra le specialità della zona ci sono i salumi, come la coppa, il salame e la pancetta, realizzati con carni suine lavorate artigianalmente e i formaggi.

Non si può parlare della cucina della Val Trebbia senza menzionare i piatti a base di funghi, che crescono rigogliosi nei boschi circostanti.

Dai porcini ai finferli, i funghi di questa terra sono tra i più pregiati d’Italia e vengono utilizzati in numerose ricette tradizionali.

La cucina di questi luoghi è legata alla stagionalità, con piatti che variano a seconda dei prodotti disponibili in ogni periodo dell’anno. Ad esempio, in primavera si possono gustare le fave fresche, mentre in autunno è la volta delle castagne.

Insomma, un vero paradiso per gli amanti della buona cucina, dove si possono scoprire e gustare prelibatezze uniche e autentiche, frutto di un’antica tradizione culinaria che si tramanda di generazione in generazione.

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FONTANIGORDA

La cucina casalinga incontra la genuinità dei prodotti della terra

Il Castagno a Fontanigorda

Il Bosco delle Fate è un simbolo di Fontanigorda per la magia che evoca e per la storia che ricorda. I suoi alberi secolari sono testimoni viventi di quanto sia stata importante il castagno come risorsa economica per le popolazioni rurali appenniniche.

Dal legname per riscaldare i casolari, fornire tannino, ricavare tavolame e travature per costruzioni, paleria, cesteria ed attrezzi di uso quotidiano, al fogliame usato come lettiera per il bestiame. E infine il frutto, in passato decisivo per la sopravvivenza delle popolazioni montane, che ha rappresentato l’unica possibile alternativa ai cereali in virtù della facile reperibilità e conservabilità.

Nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, gli abitanti delle nostre montagne impararono ad utilizzare le castagne nei più svariati modi: arrostite o bollite in acqua o latte, sostituivano, il pane; calde si consumavano con latte o vino come minestra; essiccate e macinate, costituivano sfarinati da impiegare come succedanei delle più costose farine di cereali nella preparazione di polenta, puree, focacce, castagnacci, zuppe. Si provvedeva così alle esigenze nutrizionali tentando anche di alleviare la fame. L’annata ricca di castagne era un’annata di “festa”, l’annata di carestia decretava la miseria e la fame.

I castagneti possono essere da frutto o da legname. Quelli da frutto derivano da piante innestate con varietà che solitamente cambiavano da zona a zona secondo le migliori rese, le preferenze e le consuetudini locali. I castagneti da legno sono formati da piante selvatiche, quindi non innestate, talvolta governate a ceppaia, per ricavarne paleria, oppure lasciate elevarsi per poi ottenere ottime travature e tavolame.

Tradizionalmente le castagne venivano raccolte a mano per poi essere trasportate negli essiccatoi. Il calore e il fumo di un fuoco moderato ma costante, mantenuto vivo per circa quaranta giorni, essiccava i frutti che in seguito venivano battuti per liberarli dalla scorza e, dopo la cernita, condotti al mulino per ricavarne la farina.

Un vecchio detto popolare dice che il riccio del castagno nasconde tre frutti: il primo per il contadino, il secondo per il povero e il terzo per il prete.

Le mele a Fontanigorda

Fra le coltivazioni frutticole dell’entroterra genovese, la mela ha avuto sempre un posto di rilievo.
Non tanto riguardo a veri e propri frutteti coltivati razionalmente, piuttosto per il notevole numero di piante poste spesso ai margini dei coltivi e sempre destinate a un ciclo di vita lungo, con alberi che di frequente raggiungevano dimensioni ragguardevoli.

Presentando differenti caratteristiche, le numerose varietà consentivano di preservare la produzione e distribuire la conservazione e il consumo durante tutto l’inverno fino a primavera. Si cominciava con le varietà più precoci e meno durevoli fino a giungere alle più tardive e serbevoli, sempre destinando i frutti più belli e sani alla vendita e riservando gli altri all’autoconsumo.

Da pochi anni a Fontanigorda è stato impiantato un frutteto razionale nel quale si coltivano, insieme a varietà moderne, alcune cultivar storiche come la Mantovana, la Renetta rugginosa, la Renetta del Canada, la Renetta Champagne ed una coltivata localmente chiamata de Luigiotto, probabilmente dal nome di colui che la conservò e la diffuse cedendo ad altri le marze da riproduzione.

Il meleto di Fontanigorda è diventato un simbolo della valle, nonché un piccolo ma significativo esempio di concreta valorizzazione della tradizione agricola locale.

Puntando su una produzione ecosostenibile, più attenta alla qualità che alla quantità, i produttori di Fontanigorda riescono a ottenere frutti pregevoli, adatti sia al consumo diretto, sia alla trasformazione in cucina e pasticceria, o per ricavarne succhi e conserve.

I Formaggi Liguri nella Val Trebbia

Il popolo ligure è considerato una delle più antica popolazioni italiche di cui si conosca l’esistenza, erano temibili guerrieri che si opposero alla conquista romana e bravi pastori molto orgogliosi ed indipendenti.

Abbiamo avuto il piacere di incontrare Massimo Monteverde, produttore locale con un’azienda agricola poste nel comune di Santo Stefano d’Aveto, non molto lontano da Fontanigorda.

 

Il suo racconto ci ha evidenziato come l’allevamento da latte si sia molto ridimensionato negli ultimi decenni e che gli allevatori rimasti si siano indirizzati alla trasformazione diretta.

Raccontando la sua esperienza ci ha evidenziato che, oltre a produrre cereali e patate, alleva 25 vacche di razza Bruna che vengono portate regolarmente al pascolo e dalle cui produzioni ricava, nel caseificio aziendale: formaggette, stracchino, prescinsêua, yogurt e ricotta rivolte al mercato locale.

Ha raccontato delle tradizioni locali di formaggette di diverso dimensione a Fontanigorda, a Casoni ed in Val d’Aveto con una lavorazione rivolta alla conservazione con una rottura della cagliata a chicco di riso ed una successiva messa in forma e pressatura.

Ci ha ricordato che attualmente il formaggio più famoso è il San Stè, ma che alcuni allevatori della razza bovina locale Cabannina producono “U Cabanin”.
Il Sarazzu, ricotta stagionata, è un altro prodotto da ricordare.

L’invasione delle vacche a Fontanigorda

In pochi si aspettavano che quel giorno il paese di Fontanigorda fosse invaso da oltre un centinaio di capi di bestiame.

Normalmente era uso per i villeggianti fare la passeggiata fino al Pian dell’Avena a visitare la Stalla Sociale, le vacche al pascolo, i vitelli, per prendere un po’ di latte e per fare due parole con Adriano, Silvana, Mariuccia e Emiliana che, anche se molto impegnate, trovavano il tempo di rispondere, specialmente se erano presenti bambini.

Quel giorno, il primo ottobre 1989, furono le vacche invece ad arrivare in Piazza Roma, le “fontanigordesi” in compagnia di altre provenienti da Carpeneto e dai Cotti. Non era un’invasione spontanea, ma un evento programmato, all’insaputa, tuttavia, dei turisti, una bella manifestazione zootecnica organizzata in collaborazione con l’Associazione Provinciale Allevatori di Genova ed il Libro Genealogico della Pezzata Rossa Italiana, la razza bovina di origine svizzera seconda per diffusione nel mondo.

Menghin, il presidente della Cooperativa, Massimo, lo stalliere, e poi Franco, Santin, Giamba, Luciano, Michele, Riccardo, non senza difficoltà, legarono le vacche, i vitelli ed il toro Romolo. Lisetta, Claudia, Marcello e Della Tommasina, direttore dell’APA fecero gli onori di casa alle autorità. Il vigile Ambrogio cercava di mettere ordine, il resto del paese continuava la propria attività con un occhio a quella insolita occasione. Gianni Menta, genovese trapiantato a Udine, tecnico della Pezzata Rossa insieme al presidente nazionale Vinicio Depollo, svolsero il ruolo di giudici. Ci furono premi per tutti i partecipanti, anche se non contava vincere, ma esserci.

Quel giorno tutto il paese sentì che quelle vacche, che tenevano puliti i prati, che coloravano con il loro mantello i pascoli, erano una presenza fattiva e industriosa, un patrimonio di Fontanigorda e di Casanova da tutelare per il futuro. Erano presenti anche gli amici di Reisoni che costituirono dopo poco la Cooperativa Bucaneve, altri allevatori dei paesi vicini, Rovegno, Torriglia, Fascia, Ottone legati alla Cooperativa Val Trebbia di raccolta latte o più lontani, provenienti da Ceranesi e Santo Stefano d’Aveto.
Lo ricordiamo con gioia come un momento di realizzazione di quello spirito di comunità che non è solo parte dell’immaginario delle vite dei nostri monti, ma è, o almeno, con una punta di rimpianto e di nostalgia, è stato realtà tangibile e in grado di dare, seppur nella fatica, lavoro sano e senso positivo di appartenenza.

Il frumento e i cereali a Fontanigorda

La coltivazione del frumento, quasi del tutto abbandonata nei comuni dell’alta Val Trebbia genovese, ha ripreso vita per merito di alcuni giovani produttori come Michele Ravera, di Rovegno, Massimo Monteverde, di Santo Stefano d’Aveto, e Fabrizio Bottari, di Rezzoaglio.

Le tre aziende hanno diversificato il vecchio orientamento produttivo, basato sul foraggio, per passare a coltivazioni, sempre rispettose dell’ambiente, come le patate di montagna, i fagioli e i cereali antichi.
Si utilizzano soprattutto miscugli autoprodotti, formati, appunto, da semi di varietà differenti. Il più diffuso è quello dei Nove Grani Antichi, alcuni tra i quali, per esempio, Solina, Frassineto, Andriolo, Gentil Rosso, Maiorca, Pugliese… ogni pianta, da sola, non è così forte e risulta difficile eseguire una buona panificazione, ma, raccolti e lavorati insieme, sono ottimi. Inoltre, avendo ognuno esigenze e caratteristiche proprie, si adattano a diversi territori e climi e, in questo modo, avviene un’autoselezione: le varietà migliori saranno quelle che poi verranno mantenute.

Una particolare attenzione è data anche al Rosso di Alsazia e l’Autonomia B. La farina prodotta dai tre produttori è di due tipi: 1 e 2. Quella di tipo “1” è più raffinata, utilizzata per la produzione di pasta fresca, mentre quella di tipo “2” è più “grezza”.

La loro etica di lavoro si basa sul rispetto dell’ecosistema montano e di tutta la biodiversità che lo caratterizza. A Fontanigorda la produzione dei cereali non era molto diffusa. Dai censimenti agricoli si ricava che il 95% delle superfici era destinata a prati e pascoli, ma le testimonianze locali e alcuni toponimi ricordano che i cereali erano comunque presenti: la località “Pian dell’avena”, dove è ubicata la stalle più grande, riporta a quella coltivazione.

Altri contadini in provincia di Genova hanno ripreso a coltivare altri grani antichi, in particolare la cosiddetta Tosella, bianca e rossa, il Gamba di ferro e altre varietà tradizionali delle zone appenniniche circostanti.

Curioso segnalare che proprio del grano Tosella esaltava già qualità il medico e filosofo veronese Bartolomeo Paschetti (che visse a Genova) nel suo Del conservare la sanità et del vivere de’ Genovesi (Genova, 1602):

“Ma perché tralascio io il più bello, il più bianco, & più netto grano, che nasca nelle vostre parti, e fuori? La Tosella dico grano bellissimo, albissimo, nettissimo, & di maggior peso di qual si voglia altro grano? Ne produce conveniente quantità il contato vostro di Nove, le montagne di Savignone, di Mongiardino, di Carega, & d’altri luoghi circonvicini. Del qual grano fassi pane albissimo, & saporitissimo oltre ogni altro. La nascita di una filiera corta, diretta prevalentemente alla cucina locale, rappresenta una alternativa colturale da tenere in buona considerazione.”

La coltivazione del frumento, quasi del tutto abbandonata nei comuni dell’alta Val Trebbia genovese, ha ripreso vita per merito di alcuni giovani produttori come Michele Ravera, di Rovegno, Massimo Monteverde, di Santo Stefano d’Aveto, e Fabrizio Bottari, di Rezzoaglio.

Le tre aziende hanno diversificato il vecchio orientamento produttivo, basato sul foraggio, per passare a coltivazioni, sempre rispettose dell’ambiente, come le patate di montagna, i fagioli e i cereali antichi.
Si utilizzano soprattutto miscugli autoprodotti, formati, appunto, da semi di varietà differenti. Il più diffuso è quello dei Nove Grani Antichi, alcuni tra i quali, per esempio, Solina, Frassineto, Andriolo, Gentil Rosso, Maiorca, Pugliese… ogni pianta, da sola, non è così forte e risulta difficile eseguire una buona panificazione, ma, raccolti e lavorati insieme, sono ottimi. Inoltre, avendo ognuno esigenze e caratteristiche proprie, si adattano a diversi territori e climi e, in questo modo, avviene un’autoselezione: le varietà migliori saranno quelle che poi verranno mantenute.

Una particolare attenzione è data anche al Rosso di Alsazia e l’Autonomia B. La farina prodotta dai tre produttori è di due tipi: 1 e 2. Quella di tipo “1” è più raffinata, utilizzata per la produzione di pasta fresca, mentre quella di tipo “2” è più “grezza”.

La loro etica di lavoro si basa sul rispetto dell’ecosistema montano e di tutta la biodiversità che lo caratterizza. A Fontanigorda la produzione dei cereali non era molto diffusa. Dai censimenti agricoli si ricava che il 95% delle superfici era destinata a prati e pascoli, ma le testimonianze locali e alcuni toponimi ricordano che i cereali erano comunque presenti: la località “Pian dell’avena”, dove è ubicata la stalle più grande, riporta a quella coltivazione.

Altri contadini in provincia di Genova hanno ripreso a coltivare altri grani antichi, in particolare la cosiddetta Tosella, bianca e rossa, il Gamba di ferro e altre varietà tradizionali delle zone appenniniche circostanti.

Curioso segnalare che proprio del grano Tosella esaltava già qualità il medico e filosofo veronese Bartolomeo Paschetti (che visse a Genova) nel suo Del conservare la sanità et del vivere de’ Genovesi (Genova, 1602):

“Ma perché tralascio io il più bello, il più bianco, & più netto grano, che nasca nelle vostre parti, e fuori? La Tosella dico grano bellissimo, albissimo, nettissimo, & di maggior peso di qual si voglia altro grano? Ne produce conveniente quantità il contato vostro di Nove, le montagne di Savignone, di Mongiardino, di Carega, & d’altri luoghi circonvicini. Del qual grano fassi pane albissimo, & saporitissimo oltre ogni altro.
La nascita di una filiera corta, diretta prevalentemente alla cucina locale, rappresenta una alternativa colturale da tenere in buona considerazione.”

GORRETO

Storia e curiosità sugli ortaggi più apprezzati di sempre: le patate!

Le patate in Val Trebbia

Come in tanti paesi del profondo entroterra genovese, anche in Val Trebbia le patate hanno avuto un’importanza decisiva nell’alimentazione di generazioni di contadini.
Massimo Angelini, nel suo Quarantina Bianca e le patate tradizionali della Montagna genovese, edito nel 2001, ci racconta come questa coltura sia originaria dell’America Latina, in modo particolare dalla zona andina.

Nel Genovesato la patata è arrivata alla fine del Settecento, grazie al sacerdote Michele Dondero, parroco di Roccatagliata, attuale frazione del comune di Neirone, in val Fontanabuona (Ge). Dondero si fece accanito promotore dei pomi di terra come prodotto agricolo di ottima resa e grande versatilità in cucina.

Nonostante le condizioni non certo agiate dei suoi diffidenti parrocchiani, ci volle tutta la sua costanza per convincerli a coltivare e mangiare le patate, ma infine la ebbe vinta e in breve tempo la coltura nuovi tuberi prese campo fra queste montagne.

Fontanigorda, Fascia, Gorreto, Montebruno, Propata, Rondanina, Rovegno e Torriglia hanno mantenuto questa coltivazione tradizionale che in passato era diventata, insieme alla castagna, la base alimentare delle popolazioni locali.

Fra le varietà di patate tradizionali, spiccano la Quarantina Bianca Genovese, la Quarantina Prugnona, la Cannellina Nera, la Giana Riunda e la Morella, recuperate e tutelate da un Consorzio attivo da una trentina d’anni.

La prima è una varietà semi precoce a pasta bianca, mediamente serbevole, dalla resa media che diventa bassa nei terreni pesanti e nelle aree umide. “Quarantina” è un nome generico, usato per sottolineare la brevità ciclo colturale, particolarmente adatto per la coltivazione in montagna. Il nome della Prugnona è derivato dal suo colore violetto che ricorda, appunto, una Prugna. È varietà precoce, a pasta bianca, serbevole e di resa medio-bassa.

La Cannellina Nera è di forma allungata e irregolare; ha gemme profonde e fiori lilla.

La Giana Riunda è simile alla Quarantina Bianca, da questa si distingue per la pasta gialla, le gemme sono più profonde e di solito è priva della sfumatura rosa.

La Morella è un ecotipo della vecchia varietà Violette, nota nella prima metà dell’800, ha tubero allungato; gemme medio-profonde e fiore viola; buccia liscia e viola.

Il 13 aprile 2000 nasce, su iniziativa di 20 produttori agricoli del Genovesato, con la prima denominazione di “Consorzio di tutela della Quarantina bianca Genovese e delle patate tradizionali della Montagna genovese”.

La sua costituzione è il risultato di un’attività di ricerca iniziata a metà degli anni 1980 da Massimo Angelini, proseguita, dal 1996, con il graduale coinvolgimento di coltivatori genovesi e pubbliche amministrazioni, prima fra tutte la Provincia di Genova.

È una delle prime iniziative per la tutela della biodiversità agricola.

Il suo ambito territoriale inizialmente è stato circoscritto alla zona tradizionale di produzione della patata Quarantina Bianca Genovese (il Genovesato e le aree immediatamente adiacenti).

A Fontanigorda è stata esposta la mostra “Patate dal Mondo” a cura del Consorzio della Quarantina allo scopo di valorizzare questa tradizione.

PARCO DELL'ANTOLA

Allevamenti al pascolo per una produzione di carne, latte e formaggi di alta qualità

La Val Trebbia Genovese e l’allevamento

Analizzando i dati statistici relativi ai censimenti dell’agricoltura nella Val Trebbia Genovese, si nota una forte presenza di prati e pascoli, circa il 93% della S.a.u. (Superficie agricola utilizzata) con poche altre coltivazioni legate alle colture dei cereali, dei legumi e a un’attività ortofrutticola (mele, piccoli frutti e orti per il consumo familiare).

L’allevamento bovino è stato un elemento importante del comparto agricolo, dapprima legato alla produzione del latte e, in tempi più recenti, della carne, secondo la tecnica della linea vacca-vitello.

Attualmente sono attivi due allevamenti con bovine da latte: l’azienda Christian Navone, di Fontanigorda, che cede il proprio latte al Caseificio di Rezzoaglio, e l’azienda Il Solengo, di Muriel De Carlini, a Casoni di Fontanigorda.

A Propata sono presenti l’Azienda Agricola Bruzzone e Lo Stallone di Propata, di Patrizia Severino, allevano circa 500 capi di Limousine.

Secondo le informazioni ricavate dalle interviste raccolte presso la frazione di Casoni, la tradizione casearia locale riporta a formaggi semi stagionati con forme di circa 6/8 kg; a Fontanigorda le stesse forme pesavano circa 3 kg.
Dai censimenti risulta che nel 1971 a Fontanigorda erano attivi 329 coltivatori diretti che nel 1991 si ridussero a 43.

Nel 1991 in tutta la Comunità Montana Alta Val Trebbia erano censiti 892 capi bovini con 211 aziende zootecniche; oggi il patrimonio bovino non è molto diverso numericamente, ma le aziende sono molto diminuite.

Nel secondo dopoguerra le razze bovine presenti erano prevalentemente Brune, Ottonesi-Varzesi e Cabannine; le Brune presero poi il sopravvento. Con la nascita della Stalla Sociale di Fontanigorda, fondata nel 1969, ma operativa dagli anni ’70, e in seguito della Cooperativa Bucaneve, nella frazione Reisoni, sono state inserite le Simmenthal (Pezzata Rossa Italiana), ancora oggi sporadicamente presenti. Con l’introduzione della tecnica della linea vacca-vitello le Limousine sono oggi diventate prevalenti.

Riguardo all’allevamento ittico, ricordiamo che a Fontanigorda, nel Dopoguerra, fu creato un centro per la riproduzione e il ripopolamento delle trote, in seguito dismesso. Grazie al progetto Life Claw, oggi quell’impianto è stato recuperato e delle otto vasche presenti, due sono riservate all’allevamento del gambero di fiume, mentre le altre saranno destinate ad altra attività. Ricordiamo anche una significativa presenza di apicoltori che producono un ottimo miele e altri prodotti delle arnie valorizzando castagneti, frutteti, altri alberi nettariferi e le fioriture dei prati e pascoli.

MONTEBRUNO

Tutti pazzi per i funghi
dell’Alta Val Trebbia Genovese

L’alta Val Trebbia genovese è caratterizzata da ampi pascoli e da boschi ricchi di castagni, querce, faggi e conifere, una biodiversità dolce e amabile che ci accompagna in passeggiate ed escursioni.

Sementìn, Mazin, Praëi, Buggi, Trulle e...molto altro!

Sementìn, Mazin, Praëi, Buggi e Trulle sono tra i funghi più caratteristici delle zone prative e pascolive, mentre i boschi offrono Funzi neigri, Funzi rossi, Galletti e Cumbette.

La raccolta dei funghi è un’attività che ha portato, e porta ancora oggi, reddito alle popolazioni locali, e poco alla volta è diventata lo “sport” più diffuso della valle, richiamando cercatori di ogni età dalle aree limitrofe.

Da tenere a mente, però, che il mondo dei funghi è un mondo tanto attraente quanto  insidioso: attraente per l’immaginario da favola che lo circonda e per il fascino della ricerca, alimentato dalle narrazioni e dai consigli degli esperti; insidioso, in primis, per le intossicazioni che possono insorgere a causa di scarsa conoscenza delle specie non commestibili, inoltre per l’imprudenza nell’affrontare luoghi impervi.

La cucina della Val Trebbia genovese, considerata la profonda tradizione e l’ampia offerta gastronomica, garantita dalle molte botteghe, trattorie e ristoranti, spazia fra molte prelibatezze a base di funghi locali cucinati sia come sughi per condire la pasta, sia come antipasti, secondi piatti e contorni.

ROVEGNO

I Canestrelli della Val Trebbia:
i dolci che rapiscono il cuore e il palato in un solo…morso!

Il canestrello in Val Trebbia

Il canestrello è un dolcetto di pasta frolla diventato forse il simbolo gastronomico più rappresentativo della Val Trebbia.

La storia del canestrello riporta indietro nel tempo di qualche secolo, anche se occorre precisare che con lo stesso appellativo si identificavano almeno tre diverse tipologie di prodotto: uno di pasta di mandorla, a forma di piccola ciambellina, spesso denominato “canestrelletto”; uno più semplice e “popolare”, sempre a forma di ciambella ma di dimensioni maggiori (circa 10-12 cm di diametro), meno dolce e raffinato, più adatto ad essere inzuppato nel vino; e, infine, ma non certo ultimo, il nostro dolcetto di pasta frolla a forma di fiore.

Quest’ultimo si diffuse soprattutto a partire dall’Ottocento come prodotto tipico della valle Trebbia.

In generale l’aspetto mantiene la forma del fiore, bucato al centro, ma può cambiare per piccole differenze di diametro o per numero di petali.

Il sapore, invece, può variare secondo i perfezionamenti che, nel tempo, i pasticceri e i fornai hanno applicato alla ricetta.

Chi visita la val Trebbia non può mancare l’assaggio dei canestrelli, magari acquistandone una piccola confezione da regalare agli amici o da gustare a casa, assaporando così il ricordo della splendida valle da cui provengono.      

Cosa fare in
Val Trebbia Ligure?

Arte & Cultura

Nella Val Trebbia Ligure sono presenti molti luoghi di interesse artistico, culturale e naturale come il “Sentiero Poetico G Caproni”, il Palazzo Centurione di Gorreto e l’Osservatorio astronomico del monte Antola.

Sport & Outdoor

Questa meravigliosa valle propone attività sportive e all’aperto adatte a tutti, dalle escursioni naturalistiche e i percorsi in mountainbike per i più avventurosi, alla pesca sportiva per gli appassionati.